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Visualizzazione dei post da aprile, 2020
Come in cielo così è in terra.   Ciò che è fuori è anche dentro di me e viceversa. Alle volte mi è venuto da pensare che  la Terra  e le persone che l a  abitano potrebbero essere le parti costitutive di una cellula che, insieme alle altre cellule, come il sole, le stelle i pianeti e così via, fossero i costituenti di un organismo più grande. Oppure ho anche pensato: e se foss e l’essere umano ad essere  costituit o  di stelle, pianeti  e  galassie? In  questo  caso saremmo noi quel grande essere cosmico che contiene il tutto. Sebbene non penso che sia questo il nostro caso mi piace pensare che noi siamo parte di un livello intermedio in cui è possibile scendere e salire infinite volte.  Queste idee  mi hanno portato a riflettere sul  concetto di strutture frattali laddove per frattale si intende quell’oggetto geometrico che ripete la sua forma su scale differenti; un esempio di frattale è il cavolo romano in cui la sua geometria esterna si ritrova anche al suo interno. La
Il rito. Tutti abbiamo i nostri piccoli riti: il rito del pranzo, il rito del bagno, il rito della colazione, il rito della palestra e così via. Accanto a questi rituali si hanno anche riti più complessi come quello dell’eucarestia o del tè. Ovviamente i riti quotidiani non hanno la stessa valenza di quelli sacri ma tra loro c’è un elemento di comunanza. Che cos’è?  Il rito è una sorta di portale di accesso che conduce ad un’atra dimensione, una dimensione più nascosta e sacra che è la dimensione del Sè, del raccoglimento interiore. I rituali sono momenti in cui la persona viene introdotta in un luogo più profondo attraverso il quale può sentire un più intimo contatto con sé stessa o con un Dio.  Antropologicamente parlando il rito non è altro che la creazione di uno spazio sacro che consente di mettere in comunicazione il nostro mondo umano e il nostro tempo con la dimensione sacra che è al di fuori del tempo e che è propria del mito. Il mito è il luogo degli Dei e dell&#
Del divenire e dell’essere. “ La realtà fisica non è altro che una serie di lampi, un divenire piuttosto che un essere. Sia che pensiamo a questi “momenti istantanei”, o a una “lunga” vita umana di un centinaio di anni, o alla “lunghissima” vita dei deva, l’esistenza è sempre fugace. Ciò è vero tanto per il cosmo che per l’individuo: anche i mondi vanno e vengono, perpetuamente, senza sosta, e vengono distrutti inesorabilmente dal fuoco, dal vento e dall’acqua. Nulla di quanto è noto ai nostri sensi o alla nostra esperienza è affidabile o permanente”. Da “La meditazione Theravada. La trasformazione buddhista dello yoga”
N oi lo chiamiamo Big Bang ma c'è chi lo chiama Prajāpati. I veda sono un'antichissima raccolta di testi sacri appartenenti al popolo indoeuropeo degli Arii. Essi si dipanano su un lasso temporale che va dal 1500 a.C. fino al 500 a.C. I primi veda sono raccolti nel Saṃithā ossia la prima stratificazione storica dei Veda che si dispiegano fino alle Upanishad. Quest'ultime sono anche chiamate Vedanta giacché la negazione “anta” indica la fine dei Veda per cui le Upanishad indicano la fine dei Veda. Quando si legge il Saṃithā si ha l’impressione che gli inni e i riti da lui descritti siano rivolti ad un'unica grande divinità. Tale divinità alle volte fa capo alla figura di Mitra, alle volte a quella di Indra, alle volte ad Agni, ecc. Questo aspetto può far sorgere alcune domande. Vi è una gerarchia divina che organizza i rapporti tra le divinità? Vi è una divinità che è ritenuta più importante rispetto alle altre? Oppure, ogni divinità ha il medesimo valo
La meditazione delle “Sei cause e un effetto”. Il meditante deve generare un sentimento di equanimità o eguaglianza, un “atteggiamento imparziale”, nei confronti di tutti gli esseri senzienti. Deve pertanto visualizzare dinanzi a se un nemico, un amico e una terza persona verso la quale non provi nessun sentimento particolare. Tutti costoro sono in realtà uguali: nell’incessante ciclo delle rinascite ciascuno di loro è stato più volte un amico, un nemico e una persona neutra; ciascuno di loro ci ha aiutato e ci ha ostacolato.  Nessuno di loro è intrinsecamente un amico o un nemico, e tutti, persino nella vita presente, possono diventare un amico o un nemico, o una persona verso la quale non si prova più alcun sentimento particolare. In questo modo si genera un sentimento di equanimità e di eguaglianza nei confronti di tutti.  Per ciò che riguarda, più in particolare, la meditazione delle “Sei cause e un effetto”, ecco in breve indicati i suoi punti:  (1): poiché tutti abbi
Spiritual bypass. I ricercatori di “psicologia della meditazione” parlano spesso di “spiritual bypass”. Con questo termine si riferiscono a quelle persone che si nascondono dietro ad una pretesa “spiritualità” al fine di evitare la risoluzione di alcuni problemi fondamentali della propria esistenza. Le persone che attuano inconsapevolmente uno spiritual bypass sono quelle che hanno profonde carenze nei fatti più concreti della propria vita ma che, piuttosto che risolverli, si nascondono dietro a un alibi, l’alibi della spiritualità. Grazie a tale alibi essi ovviamente si mantengono distaccati dal mondo, ma questo distacco non è un vero e genuino distacco bensì un' opposizione, una resistenza ad esso. Per poter parlare di “rinuncia”, di “distacco”, occorre aver una qualche cosa a cui rinunciare, altrimenti si parla di “fuga”.  Se non si mettono radici nella vita non si può parlare di un un' autentica spiritualità. Parafrasando Jung, si può infatti ribadire che per po
Il re Milinda e la metafora del carro. Nel Milindapañha, o “Domande del re Milinda”, è descritta la natura illusoria di ogni fenomeno. A questa illusorietà non si sottrae neppure l’Io. Il monaco Nagasena espone suddetta visone al re Milinda attraverso l’enunciazione della metafora del carro. “Se, gran re, sei venuto con un carro, mostrami che cosa è un carro. E’ forse il timone il carro?”. “No, venerando signore”. “Sono le ruote il carro?”. “No, signore”. “E’ il telaio il carro?”. “No, signore”. “Sono l’asta della bandiera, il giogo, le redini, i raggi delle ruote, la frusta il carro?”. “Sono forse gran re, tutte queste cose insieme il carro?”. “No, signore”. “C’è allora gran re, un carro oltre tutte queste cose?”. “No, signore”. Il monaco Nagasena prosegue dicendo: “Il carro non è che un mero suono vuoto. Un carro è una parola di senso comune, un appellativo corrente, una mera convenzione linguistica, di ordine pratico e nulla di più”. E allo stesso modo, conclude Nagasena
Nichiren. Come nell'Inghilterra anglosassone dell’anno 1000 in cui si aspettava la fine del mondo e l’avvento del Secondo cristo, anche in Giappone, all’incirca nello stesso periodo, numerosi disastri e un netto declino morale annunciavano l’inizio della Mappō, l’era degli ultimi giorni e della fine del Dharma. Le scritture descrivono questo periodo come un’epoca nella quale il vero spirito del Dharma è svanito. A partire da questo periodo la religiosità giapponese può essere compresa solo in relazione a una questione fondamentale: come si può essere Buddhisti negli Ultimi Giorni, vale a dire in un epoca di sconvolgimenti cosmici e religiosi? La teoria della Mappō esercitò un influenza creativa sul Buddhismo del periodo Kamakura, stimolandolo a ricercare un base per un’armonia sia individuale che sociale. E’ in questo contesto storico e socio-culturale che fa la sua comparsa Nichiren. Nichiren nacque nel 1022, da una famiglia di basso censo, e divenne monaco novizio all’
Il suono sacro dell’energia. La parola è energia e quindi è un elemento cosmico, vibrazionale, sacro. Il pensiero indiano, successivo alla speculazione dei Veda, suddivide la parola in quattro differenti livelli energetici. Il primo livello è il livello della parola detta; questo livello indica la stratificazione energetica più depotenziata della stessa energia. Il secondo livello concerne il pensiero; prima che la parola venga detta, essa viene pensata. Il pensiero è quindi energeticamente più potente della parola pronunciata. Antecedente al livello del pensiero vi è la dimensione vibratoria, sinaptica che indica l’attimo precedente alla formulazione del pensiero vero e proprio. Il quarto livello è la dimensione del silenzio primordiale, il livello che precorre ogni manifestazione. La parola è collegata all’atto della creazione, ogni parola è un atto creativo.  Nel pensiero orientale vi sono tanti mantra quante sono le scuole che lo utilizzano. Esso è uno dei tanti supporti m
Certeza o verità. La certezza è una verità? Oppure la verità è una certezza?  E una certezza, può non essere una verità come una verità può non essere una certezza? Che cos’è la verità? È ciò che indica come stanno realmente le cose.  E la certezza? È ciò che, con il ragionamento logico, è fonte di certezza logica.  I pre-socratici furono affascinati  dall’utilizzo  che il  pensiero logico  fa delle   coppie di opposti .   Essi si accorsero che  i termini  concret i ,  ossia  que i termini  che  sono utilizzati per riferirsi   a gli  aspetti reali della vita, non  hanno  un loro relativo opposto.  La  m ela ad esempio non ha un relativo opposto se non tutto ciò che non è  m ela.   La presenza di un relativo opposto è una  caratteristica  peculiare dei soli  termini astratti  e cioè di quei concetti che l’essere umano utilizza  per descrivere la realtà in maniera logica.  A differenza dei termini concreti ogni concetto astratto ha  un suo  opposto specifico: lungo/corto
La vita e il tempo Che rapporto c’è tra la vita e il tempo? Ve lo siete mai chiesti? Tra i due vi è un profondo legame che influenza l’idea stessa di morte. Per poter comprendere la peculiare idea o visione che un popolo ha della morte occorre analizzare l’idea che tale popolo ha del tempo. L’idea di morte è sempre dipendente dall'idea di tempo. Un parallelo con la nostra cultura può esserci utile. La nostra civiltà si basa su una religione che ha postulato l'idea di un tempo “lineare”. Questa caratteristica è propria di tutte le religioni del libro le quali si erigono su un unico Dio che ha creato, con il Big Bang, l’universo e il tempo. Per esse il tempo è una linea che si estende fino ad arrivare al suo apice, alla sua fine. Tale fine è la fine dei tempi, l'escatologia.  Nella dimensione del tempo lineare ogni evento che accade è unico e irripetibile. Nel cristianesimo, ad esempio, è stato compiuto un solo peccato originale oppure è avvenuto una sola volta l’avven
Il Destino e il Dharma.  Il termine Dharma ha come significato generale quello di “tener saldo”, “tenere stretto”, è una sorta di collante della “realtà”. Il Dharma è “l'ordine cosmico” ossia quella struttura dinamica che sottostà ad ogni fenomeno manifesto e immanifesto. E’ ciò che rende il nostro cosmo un cosmo e non un caos imprevedibile e senza forma. Dharma è il movimento che soggiace al ciclo del giorno e della notte, che fa si che dopo l'estate vi sia l'autunno. Il Dharma è la “legge” che regola la vita, il “tutto” e per tanto ha un sapore divino, sacro. Suddetto significato si ritrova in tutte le scuole indiane, persino in quelle non ortodosse come il buddismo.  In quanto legge, il Dharma, si associa al concetto di “Etica” e come sappiamo l’etica è ciò che distingue i comportamenti giusti da quelli sbagliati. Per il pensiero antico indiano l'etica non è altro che il riflesso dell'ordine cosmico nelle leggi che regolano i rapporti fra le persone e il