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Come in cielo così è in terra. 

Ciò che è fuori è anche dentro di me e viceversa. Alle volte mi è venuto da pensare che la Terra e le persone che la abitano potrebbero essere le parti costitutive di una cellula che, insieme alle altre cellule, come il sole, le stelle i pianeti e così via, fossero i costituenti di un organismo più grande. Oppure ho anche pensato: e se fosse l’essere umano ad essere costituito di stelle, pianeti galassie? In questo caso saremmo noi quel grande essere cosmico che contiene il tutto. Sebbene non penso che sia questo il nostro caso mi piace pensare che noi siamo parte di un livello intermedio in cui è possibile scendere e salire infinite volte. 
Queste idee mi hanno portato a riflettere sul concetto di strutture frattali laddove per frattale si intende quell’oggetto geometrico che ripete la sua forma su scale differenti; un esempio di frattale è il cavolo romano in cui la sua geometria esterna si ritrova anche al suo interno.
La scienza non è l’unico ambito in cui queste riflessioni sono state esplorate poiché l’intima connessione tra l’alto e il basso dell’esistenza, tra la corrispettività dei fenomeni macro e micro è stata prima di tutto indagata dalle mistiche antiche come i Veda.
Personalmente mi ha sempre affascinato il passaggio dal ritualismo sacrificale, promosso dai testi vedici del Brahmana, al ritualismo individuale ascetico delle Āraṇyaka. L’Āraṇyaka è la produzione vedica successiva a quella dei Brahmana che segna un momento decisivo nella mistica indiana poiché il rito non è più officiato da un Brahmana ma dall’asceta stesso che lo compie dentro di .
I Brahmana promuovono il ritualismo sacrificale in favore di una divinità esterna, Deva, così da favorire il benessere individuale, la prosperità del raccolto, la nascita di un figlio maschio, ecc. Colui che vuole ottenere un risultato di questo tipo si rivolge al Brahmano e il Brahmano, in quanto specialista del rito, predispone il rituale. 
Le Āraṇyaka testimoniano invece il passaggio ad una forma di ritualismo interiore. Le Āraṇyaka prendono anche il nome di Trattati delle Foreste poiché confermano l’esistenza di forme di ascetismo individuale compiute da ricercatori spirituali che, non accontentandosi della mistica sacrificale, abbandonano il villaggio e si dirigono in comunità eremitiche per praticare la meditazione. 
Se con i Brahmana vi è l’idea che la Divinità risiede all’esterno dell’uomo, con le Āraṇyaka compare l’idea di una corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo: le energie che animano il cosmo sono le stesse che vivificano il livello micro dell’esistenza. Vi è un principio di corrispondenza tra ciò che sta in alto e ciò che sta in basso che può essere riassunto con l’affermazione: come in cielo così è in terra.
Ad esempio l’energia del sole ha un suo corrispettivo nell’occhio, il vento nel respiro, la luna nella mente. L’associazione della luna con le facoltà mentali testimonia un antichissimo deposito proveniente dalla cultura indoeuropea che ancora oggi influenza il nostro pensiero: nell’Orlando Furioso si narra che Orlando diviene pazzo e, che per ricondurlo alla normalità, occorre recuperare il suo senno sulla luna.
Le Āraṇyaka anticipano uno dei principi cardine che comparirà molti secoli dopo con l’ermetismo di Ermete Trismegisto: “Come sopra così sotto, come sotto così sopra. Come dentro così fuori, come fuori così dentro. Come nel grande così nel piccolo.”
Per i Trattati delle Foreste le energie cosmiche sono energie immortali che, aggregandosi tra loro, danno forma tanto all’esistenza degli esseri viventi quanto a quella delle galassie. Ogni cosa cessa nel momento in cui l’aggregazione di queste energie si scioglie. Quando ciò accade esse ritornano da dove sono venute: il respiro al vento, le facoltà mentali alla Luna, la vista al sole e così via.
I grandi asceti dei Trattati delle Foreste hanno quindi indagato la corrispondenza costitutiva di ogni fenomeno dell’esistenza ed hanno spostato l’importanza del rituale dall’esterno all’interno di sé. Quando l’asceta si siede in meditazione sacrifica il proprio respiro e compie il rituale dentro di saé a testimonianza del fatto che Dei e Demoni sono tanto fuori quanto dentro a ciascuno di noi. Ogni essere vivente è lo specchio dell’infinito e l’infinito è lo specchio di ciascun essere vivente.

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Per Mencio usare il proprio animo, e cioè la facoltà propriamente umana di pensare ciò che si sente, significa inclinare spontaneamente la propria intenzionalità verso la parte più nobile della propria natura. “Gongduzi chiese: “Come si spiega che, pur essendo tutti ugualmente uomini, alcuni diventano persone di grande valore mentre altre divengono persone di poco conto?” Mencio rispose: “ Coloro che privilegiano quanto hanno di più importante ne sono accresciuti, mente coloro che privilegiano quanto hanno di meno importante ne risultano sminuiti”. “Ma come si spiega che, pur essendo tutti ugualmente uomini, alcuni privilegiano quanto hanno di più importante mentre altri privilegiano quanto hanno di meno importante?” “Gli organi di senso non hanno la facoltà di pensare e si lasciano fuorviare dalle cose esterne. Essendo semplici cose in contatto con altre cose, i sensi se ne lasciano inevitabilmente attrarre. L’organo che è il cuore/animo ha invece la facoltà di pensare. Se pensa potrà