Passa ai contenuti principali
Nichiren.

Come nell'Inghilterra anglosassone dell’anno 1000 in cui si aspettava la fine del mondo e l’avvento del Secondo cristo, anche in Giappone, all’incirca nello stesso periodo, numerosi disastri e un netto declino morale annunciavano l’inizio della Mappō, l’era degli ultimi giorni e della fine del Dharma. Le scritture descrivono questo periodo come un’epoca nella quale il vero spirito del Dharma è svanito.
A partire da questo periodo la religiosità giapponese può essere compresa solo in relazione a una questione fondamentale: come si può essere Buddhisti negli Ultimi Giorni, vale a dire in un epoca di sconvolgimenti cosmici e religiosi?
La teoria della Mappō esercitò un influenza creativa sul Buddhismo del periodo Kamakura, stimolandolo a ricercare un base per un’armonia sia individuale che sociale. E’ in questo contesto storico e socio-culturale che fa la sua comparsa Nichiren.
Nichiren nacque nel 1022, da una famiglia di basso censo, e divenne monaco novizio all’età di 11 anni. Studiò il Tendai presso il monte Hiei, e quindi tutte le altre sette allora presenti in Giappone. Egli era estremamente versato nelle scritture.
Nichiren non era un predicatore esaltato ma un abile “teologo”, capace di sostenere le proprie opinioni con argomentazioni ben fondate e con l’autorità delle scritture. Egli criticò in particolare la setta Hōnen, caratterizzata dalla devozione al Buddha Amitābha, definendola “un inferno ininterrotto”. Criticò la tradizione Zen descrivendola come il “demonio celeste”, la setta Shingon come una “forza che rovina il paese” e la setta Ritsu, dedita allo studio e alla retta osservanza del Vinaya, come la traditrice della nazione. 
Nichiren sosteneva che le sciagure a cui era soggetto il Giappone erano dovute alla presenza di falsi insegnamenti e per tanto riteneva che era dovere del Governo sopprimere le dottrine ritenute traviate. Egli si riteneva un grande Bodhisattva e come tale poteva trascurare il normale codice morale per preservare il Dharma. In epoca Mappō Nichiren credeva che la repressione degli errori era necessaria al fine di proteggere gli uomini dalla rovina. E’ un fatto comprovato, in alcuni sutra Mahayani, come il Sutra del loto, la liceità all’omicidio al fine di proteggere il Dharma. Essa non è una caratteristica esclusivamente giapponese. Tutti gli appassionati di arti marziali hanno certamente sentito parlare dei monaci Buddhisti cinesi di Shao-lin, veri e propri guerrieri. I comunisti cinesi, da parte loro, con questa scusa riuscirono a raccogliere presso i Buddhisti cinesi i fondi per un aereo da combattimento denominato il “Buddhista Cinese”, destinato a combattere i “demoni” americani in Corea. Come sottolinea Mandeville, è un paradosso che il buddismo Mahayana, rendendo di fatto flessibile il codice morale in nome della compassione, finisca con il giustificare l’atto di uccidere in misura molto più ampia del Buddhismo non-Mahayana. 
Secondo la dottrina di Nichiren, dunque, nell’era Mappō ci si poteva salvare solamente grazie alla fede nel Sutra del Loto e attraverso la scomparsa dei falsi insegnamenti.
E’ ancora oggetto di disputa la questione se Nichiren ritenesse necessario in quel particolare periodo uccidere gli eretici oppure no. In ogni caso, Nichiren approvò inequivocabilmente la lotta dei suoi seguaci per una giusta causa: “In questa vita, voi prendete parte alla vita degli “spiriti furiosi”, e tuttavia voi certamente rinascerete dopo la morte nella terra del Buddha”.
Dopo la morte di Nichiren nacquero numerose sette fondate sulla sua predicazione. Per il Nichiren Shōshū, al quale è affiliato il movimento laico della Soka Gakkai, lo stesso Nichiren è il Buddha dell’era Mappō. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Lao Tzu “Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano parole. Fai attenzione alle tue parole, perché diventano le tue azioni. Fai attenzione alle tue azioni, perché diventano abitudini. Fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere. Fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino.”
Per Mencio usare il proprio animo, e cioè la facoltà propriamente umana di pensare ciò che si sente, significa inclinare spontaneamente la propria intenzionalità verso la parte più nobile della propria natura. “Gongduzi chiese: “Come si spiega che, pur essendo tutti ugualmente uomini, alcuni diventano persone di grande valore mentre altre divengono persone di poco conto?” Mencio rispose: “ Coloro che privilegiano quanto hanno di più importante ne sono accresciuti, mente coloro che privilegiano quanto hanno di meno importante ne risultano sminuiti”. “Ma come si spiega che, pur essendo tutti ugualmente uomini, alcuni privilegiano quanto hanno di più importante mentre altri privilegiano quanto hanno di meno importante?” “Gli organi di senso non hanno la facoltà di pensare e si lasciano fuorviare dalle cose esterne. Essendo semplici cose in contatto con altre cose, i sensi se ne lasciano inevitabilmente attrarre. L’organo che è il cuore/animo ha invece la facoltà di pensare. Se pensa potrà