Nel
pensiero buddhista ciò che viene chiamato “corpo” è uno dei cinque
elementi (Khandha o “mucchi”) che
costituiscono l’essere umano insieme a sensazione, percezione, fattori mentali
e coscienza.
Sebbene
ognuno di questi elementi rappresenta un “gruppo” o un “mucchio” a sé stante nell'individuo umano ciascuno è legato intimamente e organicamente a tutti gli
altri. Si crede che essi costituiscano il “Sé” o “persona”. L’esperienza ordinaria
di individualità li presume tutti come fattori costitutivi dell’esistenza
umana.
Il Sé-corpo perciò, tanto come concetto che come esperienza, è l’incarnazione
dell’illusione di un Io reale e stabile, di quell'illusione imprigionante da
cui gli esseri umani devono affrancarsi.
Il
mondo dell’esperienza viene messo a fuoco ed esiste solo all'interno del Sé-corpo. Ciascuno dei nostri problemi, e la
relativa soluzione, si accentra nella matrice del Sé-corpo e non in una qualche
azione estroversa diretta a un mondo esterno. La chiave della salvezza si trova
dunque dentro l’organismo del Sé-corpo, dentro di noi e non all'esterno.
La
meditazione buddhista si basa su questo principio e pertanto orienta la sua
pratica in senso psico-somatico. Le esperienze psico-sensoriali che la persona
vive sono l’espressione della realtà spazio temporale che si focalizza nell'essere
senziente. A livello organico gli stati psichici e somatici si intersecano e si
sovrappongono al punto tale da divenire pressoché indistinguibili. Nella
tradizione Theravada il corpo e la mente sono quindi addestrati insieme giacché
sono inscindibili. Il Sentiero della
liberazione afferma: “Di modo che lo Yogin a volte controlla il corpo con
la mente e a volte la mente con il corpo. In dipendenza del corpo, la mente
cambia; in dipendenza della mente, il corpo cambia”.
Esistono
varie forme di meditazione che si rivolgono a questa entità inseparabile di
mente e corpo.
Le
meditazioni sul Sé-corpo si propongono di distruggere in modo radicale il senso
di un’identità personale organico e stabile che alberga in ogni persona cosicché
non sia più possibile associare a uno o alla totalità dei frammenti, Khandha,
alcun senso di identità personale. Ognuno dei mucchi costitutivi il Sé-corpo è
impermanente, muta, e quindi non è eterno. Ogni meditazione si organizza e si
struttura a partire da tale principio: ciò che chiamiamo Sé è in realtà un
aggregato di più componenti i quali a loro volta sono impermanenti. Le
meditazioni sono così strutturate al fine di attuare tanto a livello di
pensiero quanto a livello di esperienza, ma più in particolare di esperienza,
questa verità ultima.
Una
delle pratiche di concentrazioni consiste ad esempio nell'analisi esauriente
del corpo e delle sue componenti le quali appaiono tutte impersonali e alquanto
ripugnanti. Un’altra meditazione riguarda la ripugnanza del corpo nelle sue
varie fasi di decomposizione. Un’altra forma di meditazione prevede l’osservazione
distaccata, delle inspirazioni e delle espirazioni. Anche gli aspetti dinamici
del corpo possono essere oggetto di un analoga contemplazione. Quest’ultimo
tipo di concentrazione, che parte dalle attività del corpo più palesi e
concrete, può essere esteso e affinato fino ad abbracciare sensazioni, mente e
stati mentali.
Ognuna
di queste meditazioni conduce il meditante ad esperire come ogni essere vivente
sia in realtà spoglio della sua apparenza di essere e non sia altro che una accozzaglia
di parti[1].
[1] Winston L. King, La meditazione Theravada. La trasformazione
Buddhista dello Yoga, Roma, Ubaldini Editore, 1987
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