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Chi sono?

Chi sono Io?” è la domanda fondamentale che ogni persona si pone. Saṅkara, teologo e filosofo indiano nonché fondatore della scuola dell'advaitavedānta, risponde a questo interrogativo dicendo che l’essere umano è pura coscienza. 
Normalmente crediamo di essere un corpo e una mente immutabili, fissi, monolitici, tuttavia ad una visione più approfondita possiamo notare l’intrinseca mutevolezza che contraddistingue ogni manifestazione fisica e mentale. Il corpo si trasforma continuamente come anche i nostri pensieri. Noi non siamo più le stesse persone che eravamo a tre anni come tra cinquant’anni non saremmo più gli stessi di ora. Eppure, nonostante il trascorrere del tempo, noi possiamo affermare di essere sempre le stesse persone di allora. In altre parole abbiamo l'impressione che malgrado il nostro corpo cambi, che i nostri pensieri cambino, in qualche modo noi rimaniamo sempre gli stessi. Inoltre, per poter percepire il cambiamento ci vuole un qualcosa che rimanga fermo altrimenti il cambiamento non può essere percepito. Che cos’è quell’elemento che non muta nonostante il mutare di ogni parte di noi stessi? Per Saṅkara è la coscienza.
Saṅkara afferma, e dopo di lui anche Sant’Agostino e Cartesio, che l’unica certezza che abbiamo di esistere è che in questo preciso momento noi ne siamo coscienti. Possiamo dubitare di questo ma il semplice fatto di dubitarne ci mostra la nostra stessa esistenza. 
La coscienza viene paragonata da Saṅkara ad uno specchio. Come lo specchio la coscienza non ha né forma né attributi. E’ questa sua caratteristica che gli consente di riflettere i fenomeni che gli si manifestano davanti. Se lo specchio d’acqua avesse una sua specifica forma non potrebbe riflettere il passaggio delle nuvole sopra di esso oppure il passaggio di uno stormo di uccelli. Eppure, nonostante ciò, lo specchio d’acqua non può essere definito né nuvola né stormo ma solamente specchio d’acqua. La coscienza è quindi quello spazio in cui appaiono i fenomeni dell’esistenza, è quello spazio dove appaiono le percezioni che noi chiamiamo mondo, è lo spazio dove emergono le sensazioni che chiamiamo corpo, è lo spazio dove si mostrano i pensieri che chiamiamo mente. 
Da ciò ne deriva che ogni coscienza individuale è uguale alle altre poiché ciò che ci rende gli uni diversi dagli altri sono solamente i nostri contenuti di coscienza.
Per Saṅkara la coscienza coincide con la sostanza di cui è fatto tutto quanto, con l'assoluto, e pertanto non è limitata a questo corpo e a questa mente. Per spiegare questo concetto Saṅkara utilizza la metafora del vaso e dice che è un po’ come se pensassimo che il nostro corpo-mente fosse un vaso e che la nostra coscienza fosse lo spazio dentro di esso. Se il vaso si dovesse rompere noi potremmo pensare che la coscienza che dimora dentro il vaso confluisca nello spazio esterno ma questo è errato perché lo spazio non ha parti; non è lo spazio ad essere dentro il vaso bensì il vaso ad essere completamente immerso nello spazio. Da questo punto di vista Sankara ammette la non esistenza di nascita e morte poiché si è sempre stati uno spazio, una coscienza. Qual è il problema? Il problema come al solito nasce da un’illusoria identificazione con un io separato. 



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